Entro il 2050 l’idrogeno, e in particolare l’idrogeno verde, arriverà a coprire il 12% del consumo globale di energia. È la stima dell’Agenzia internazionale per le energie rinnovabili (Irena), che pubblica un rapporto dal titolo Geopolitica della trasformazione energetica: il fattore idrogeno.
Secondo l’organismo, l’idrogeno verde diventerà un “vettore” sempre più determinante per immagazzinare, spostare e commercializzare energia, fino a cambiare la geopolitica dei rapporti tra gli Stati, modificando le relazioni commerciali che si basano sugli equilibri dettati da petrolio e gas.
L’idrogeno “verde”, come suggerisce il colore, è la variante più sostenibile dell’idrogeno, prodotta ad impatto ambientale zero mediante l’elettrolisi dell’acqua alimentata da energie provenienti da fonti rinnovabili. Si tratta di una tecnica complessa, che richiede grande apporto di energia per scindere l’acqua in ossigeno e idrogeno. Si distingue dall’idrogeno “marrone” o “grigio” – che viene ricavato dal carbone o dal gas naturale, ha costi di estrazione più bassi, ma una forte carica inquinante – e da quello “blu” che cattura e stocca il carbonio prodotto.
Francesco La Camera, direttore generale dell’Irena, sostiene che già diversi Paesi a livello mondiale stanno stabilendo nuove relazioni bilaterali intorno all’idrogeno, come Germania, Giappone, Australia, Oman, Arabia Saudita e Emirati Arabi Uniti. Il rapporto evidenzia inoltre che l’idrogeno verde sarà in grado di competere a livello globale con l’idrogeno da combustibili fossili e questo potrebbe accadere anche prima in Paesi come la Cina, il Brasile e l’India.
Anche l’Italia, nel suo Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza, ha deciso di puntare su questa fonte di energia investendo 2 miliardi di euro nel suo sviluppo. L’obiettivo, in linea con quello europeo, è fare in modo che l’idrogeno risponda al 2% della domanda energetica entro il 2030, raggiunga il 13-14% entro il 2050 e il traguardo del 20% negli anni successivi.