ANSFISA, Agenzia Nazionale per la Sicurezza delle Ferrovie e delle Infrastrutture Stradali e Autostradali ha pubblicato in data 6 marzo 2023 la nota di emanazione delle nuove Linee Guida per la certificazione del personale addetto ai Controlli Non Distruttivi (CND) nella Manutenzione ferroviaria.
L’importanza dei CND in ambito ferroviario e il valore della cultura della Manutenzione ricoprono un ruolo di primaria importanza per l’Agenzia, che ha individuato nei suddetti criteri tecnici degli elementi fondamentali al fine di garantire un adeguato livello di affidabilità nelle operazioni di Manutenzione nel settore ferroviario.
Le presenti Linee Guida stabiliscono requisiti integrativi rispetto alla UNI EN ISO 9712:2022 Prove non distruttive – Qualificazione e certificazione del personale addetto alle prove non distruttive e rappresentano il cosiddetto “Schema di Certificazione” dedicato al settore della Manutenzione ferroviaria.
La struttura delle Linee Guida
Le nuove Linee Guida mantengono la struttura di suddivisione in due capitoli:
Nel capitolo A sono elencati i criteri generali per il riconoscimento dei Centri di Addestramento del personale addetto ai CND e dei Centri di Esame per la qualificazione e la certificazione del personale medesimo.
Nel capitolo B sono invece stabiliti i criteri per la qualificazione e la certificazione del personale addetto ai CND relativamente all’applicazione dei controlli stessi nel settore della Manutenzione ferroviaria, ad integrazione della norma UNI EN ISO 9712.
L’entrata in vigore delle Linee Guida
Le Linee Guida, ancorché applicabili a partire dalla data della loro pubblicazione, entreranno a tutti gli effetti in vigore a partire dal 6 giugno p.v. e la loro applicazione sarà estesa anche alle reti isolate e ai processi CND che interessano il trasporto pubblico a guida vincolata.
Per tali sistemi il documento prenderà piena applicazione trascorsi 18 mesi dalla data della loro pubblicazione, ovvero entro il 6 settembre 2024.
Le nuove Linee Guida sono consultabili sul sito dedicato dell’Agenzia, mentre nei documenti in consultazione sono state pubblicate le risposte ai commenti ricevuti tramite consultazione pubblica.
Si è tenuto oggi presso la sede del CNIM a Roma, in via Cavour numero 181, il consiglio direttivo del Comitato. Presente la maggioranza assoluta dei membri, la relazione generale è stata tenuta dal presidente prof. Ing. Aurelio Misiti. Egli si è soffermato sulla profonda crisi che attraversano l’Italia, l’Europa e il mondo, dovuta alla pandemia del COVID-19 e alla guerra in Ucraina.
Gli sconvolgimenti provocati dai progressi scientifici e tecnologici in termini di intelligenza artificiale, comporta cambiamenti fondamentali.
Uno Stato come l’Italia, di fronte a ciò, ha necessità di avviare un processo di trasformazione di sviluppo scientifico e tecnologico per poter tenere il passo delle Nazioni più avanzate. Il tentativo fatto dagli ultimi governi, d’intesa con l’Unione Europea, di eliminare le storture interne del territorio soprattutto tra Nord e Sud, si è fondato su un piano detto PNRR – Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza – che comporta investimenti superiori ai 250 miliardi di euro. Sono previste inoltre quattro riforme: P.A., giustizia, semplificazione codice degli appalti pubblici, riforme per la concorrenza.
Lo Stato, nel suo insieme con la sua Pubblica Amministrazione, non ha la preparazione per affrontare e realizzare un piano così gigantesco nei tempi stretti previsti dall’Unione Europea. Pertanto, è indispensabile la mobilitazione di tutte le energie disponibili per aiutare il Governo a non perdere o disperdere i finanziamenti, che hanno lo scopo fondamentale di unire e rendere omogenea l’Italia.
CNIM, SVIMEZ, ANIMI, ARGE, che hanno elaborato il Progetto di Sistema per il Sud, per l’Italia e per l’Europa, devono rinnovarsi in modo da essere più integrati con lo Stato.
Il giorno 20 febbraio 2023 si terranno le assemblee: una straordinaria per una modifica di statuto e l’altra ordinaria per approvare la relazione generale del C.D. e i bilanci consuntivi 2019-2020-2021-2022 nonché il bilancio preventivo per il 2023.
Cosa farà il CNIM nel 2023:
Autobus a idrogeno;
Camion nettezza urbana idrogeno;
Produzione di idrogeno in Acea con i fanghi, con l’umido dei RSU e con l’inceneritore.
Le tre aziende dovranno unirsi per fare di Roma la città più bella del mondo.
Si potrà cambiare nome al CNIM rendendolo più stabile: Agenzia del Comitato Nazionale per la Manutenzione.
L’obiettivo di questa breve nota è quello di introdurre, in termini operativi, il tema della gestione della progettazione della Manutenzione attraverso gli strumenti informatici attualmente presenti sul mercato; dal CAD “Computer Aid Design” al BIM “Building Information Modeling”.
Già nel corso degli anni ‘60 e ‘70 l’industria (in primis quella automobilistica, navale e aerospaziale) aveva colto le potenzialità derivanti dall’uso dei CAD, in termini di maggiore rapidità di elaborazione e rilavorazione dei progetti, di riduzione degli errori e di avanzamento dell’automazione in fabbrica.
Il mondo delle costruzioni non colse immediatamente le opportunità offerte dai nuovi strumenti e cominciò a utilizzare i sistemi CAD solo nella seconda metà degli anni ‘70; ma una svolta importante arriverà a metà degli anni ‘80 quando agli oggetti grafici diventa possibile associare parametri e regole in grado di offrire rilevanti vantaggi per la gestione del progetto nel suo insieme.
Tali oggetti vengono definiti “intelligenti” per la loro capacità di auto-aggiornarsi, anche in risposta a modifiche apportate dal progettista ad altri oggetti ma tra loro collegati: ne consegue un’automatica propagazione delle modifiche apportate e un aggiornamento continuo e costante dell’intero modello virtuale.
Da qui il passaggio ad oggetti contenenti non solo parametri di tipo geometrico ma anche informazioni specifiche delle entità reali da essi rappresentate. Diventa, così, possibile aggiungere agli oggetti le caratteristiche termofisiche, di costo, di resistenza meccanica, etc., con interrelazioni automatiche tra le modifiche dell’oggetto e l’aggiornamento delle stesse informazioni ad esso collegate.
Dunque, si apre così la strada ad una nuova tecnologia, il BIM appunto.
Autodesk®, azienda leader del mercato dei software, descrive il BIM come “un processo intelligente basato su modelli 3D che fornisce ai professionisti dell’architettura, dell’ingegneria e delle costruzioni (AEC) l’intuizione e gli strumenti per pianificare, progettare, costruire e gestire in modo più efficiente edifici e infrastrutture”.
Bisogna specificare tuttavia che il BIM non è solo uno strumento di progettazione o di visualizzazione, si tratta bensì di un processo che permette la creazione di un modello contenente tutte le informazioni relative al ciclo di vita dell’edificio e ai suoi requisiti di Manutenzione.
Una caratteristica fondamentale della metodologia BIM è l’interoperabilità, ovvero la condivisione dei dati tra tutti gli attori coinvolti (partendo dai progettisti dell’edificio all’impresa di costruzione, fino ai proprietari e ai gestori dell’immobile), al fine di inserire, estrarre, aggiornare o modificare le informazioni nel modello.
La condivisione dei dati porta numerosi vantaggi; tra questi i dieci più significativi sono:
1. Riduzione della duplicazione dei dati;
2. Controllo e verifica delle incongruenze tra i diversi modelli;
3. Ottimizzazione di costi e risorse;
4. Aggiornamento del modello complessivo;
5. Interoperabilità;
6. Migliore collaborazione tra i team;
7. Cicli di vita del progetto più brevi;
8. Gestione migliorata delle strutture;
9. Siti di costruzione più sicuri;
10. Visualizzazione del progetto sovralimentato.
Si tratta di vantaggi così tangibili che molti Paesi hanno reso obbligatorio l’uso del BIM per qualsiasi nuovo progetto di costruzione e infrastruttura finanziato con fondi pubblici.
Anche in Italia ci si sta muovendo verso l’obbligo dell’uso delle metodologie BIM per le opere pubbliche. Dal 1° gennaio 2022, infatti, tutte le opere pubbliche con valore pari o superiore a 15 milioni devono essere sviluppate con il metodo BIM, mentre dal 2025 la soglia scenderà ad un valore pari o superiore a 1 milione di euro.
È per questo che oggi sono numerosi gli operatori economici (società di progettazione, grandi imprese, stazioni appaltanti, piuttosto che committenze pubbliche e private, ecc.) che si sono “evolute al BIM”, investendo nell’innovazione e nella digitalizzazione.
La Manutenzione nel processo edilizio (le diverse tipologie di Manutenzione)
La sesta dimensione del BIM (6D), riguarda il facility management e permette di ottimizzare la gestione e la Manutenzione dell’oggetto edilizio per tutto il suo ciclo di vita, fornendo informazioni sui singoli componenti: dagli impianti tecnici alle finiture.
La programmazione della Manutenzione in fase di progettazione è senza ombra di dubbio una delle maggiori potenzialità del BIM.
La norma UNI EN 133006:2018 definisce la Manutenzione come “combinazione di tutte le azioni tecniche, amministrative e gestionali, durante il ciclo di vita di un’entità, destinate a mantenerla o riportarla in uno stato in cui possa eseguire la funzione richiesta”.[1]
La norma definisce anche il concetto di strategia di Manutenzione, ovvero il metodo gestionale utilizzato allo scopo di raggiungere gli obiettivi della Manutenzione.
In tal senso le tipologie di Manutenzione sono indispensabili per massimizzare la produttività e l’efficienza e se ben strutturate sono determinanti per il successo di un business.
Una buona Manutenzione, intesa non solo come un semplice insieme di azioni tecniche correttive ma altresì come piano per l’ottimizzazione generale di un’impresa, rappresenta infatti un vero valore aggiunto che consente di offrire un servizio completo e di qualità.
Le tipologie di Manutenzione possono essere così suddivise e riassunte[2]:
La Manutenzione ordinaria è l’insieme degli interventi che riguardano opere di riparazione, rinnovamento e sostituzione delle finiture necessarie a integrare o mantenere in efficienza gli impianti tecnologici esistenti. L’obiettivo è quindi intervenire su un guasto o garantire il ciclo di vita utile di un asset.
La Manutenzione straordinaria, invece, è l’insieme delle opere e delle modifiche necessarie per rinnovare e sostituire componenti anche strutturali, oltre che a realizzare e integrare i servizi tecnologici aggiuntivi. Si occupa quindi di prevenzione e miglioramento.
La Manutenzione migliorativa rientra nella Manutenzione straordinaria ed ha l’obiettivo di mantenere le prestazioni delle attrezzature apportando miglioramenti tecnici a un intero impianto o a singole unità. Questa strategia manutentiva, quindi, non deriva da guasti o malfunzionamenti, ma risponde a esigenze di miglioramento.
La Manutenzione correttiva prevede che si intervenga per riparare un guasto, sostituire un componente o fare attività di revisione solo quando il danno si è già verificato. Comprende tutte le azioni necessarie a ripristinare le funzioni originarie del sistema e ha lo scopo di rimuovere ogni problema che impedisca il funzionamento o la riduzione delle prestazioni occupandosi delle usure.
La Manutenzione preventiva ha l’obiettivo principale di estendere il ciclo di vita degli asset, in modo da prevenire un eccessivo degrado qualitativo e quantitativo della produzione. Questo obiettivo è raggiunto tramite ispezioni periodiche o sulla base di particolari metriche scelte dal manutentore, in modo tale che interventi di prevenzione necessari ma non ancora palesi possano essere effettuati prima che si verifichi un’usura eccessiva o un guasto.
La Manutenzione predittiva è una Manutenzione preventiva effettuata a seguito dell’individuazione e della misurazione di uno o più parametri e dall’estrapolazione secondo modelli appropriati del tempo residuo prima del guasto.
Manutenzione controllata: è un particolare tipo di Manutenzione preventiva che permette di assicurare una qualità del servizio desiderata mediante l’applicazione sistematica di tecniche di analisi che usano mezzi di supervisione centralizzata e/o un campionamento per minimizzare la Manutenzione preventiva e ridurre la Manutenzione correttiva.
Con Manutenzione secondo condizione si intendono tutte quelle azioni di prevenzione subordinate al raggiungimento di una determinata condizione di un asset che può variare per metriche quali il chilometraggio, numero di battute, tempo di lavoro etc.
L’attività di Manutenzione, in tutte le sue tipologie, è senz’ombra di dubbio un elemento fondamentale nel processo edilizio, si ritrova infatti a coprire un ruolo di primo piano.
L’ottimizzazione di tale attività si rende dunque necessaria ed ancora una volta possiamo ricollegarci al BIM e al suo utilizzo. In questo senso, il modello progettuale (BIM) evolve in quello costruttivo Plan Implementation Model (PIM) e alla fine in quello gestionale Asset Information Management (AIM) lungo la vita del progetto, andando ad arricchirsi di informazioni e dati utili al Facility Manager nelle sue attività di esercizio e Manutenzione degli asset[3].
Un committente deve poter controllare l’intero processo progettuale e costruttivo con l’obiettivo di ottenere tutti i dati e le informazioni necessarie a gestire l’immobile. Come tale ha bisogno di una soluzione che consenta di lavorare in maniera coordinata in un unico ambiente progettuale e su un unico modello, dando la possibilità a tutti i soggetti coinvolti nel processo di essere sempre aggiornati e informati sul suo sviluppo e garantendo indipendenza e la trasparenza, anche come elemento probante in caso di dispute o contenziosi.
Così come per la redazione di un piano manutentivo, anche per la messa in pratica di programmi manutentivi esistono software in grado di dialogare con gli stessi strumenti innovativi per il BIM, con i quali vengono implementati i modelli, partendo dalle informazioni CAD, ed integrandole con un piano di acquisizione delle trasformazioni intervenute, negli anni, al fine di restituire il reale stato di fatto dell’opera che ci si prefigge di gestire[4].
Tradizionalmente questi prodotti devono incrociare informazioni grafiche e dati, ossia planimetrie del costruito ubicative di oggetti manutentivi e schede tecniche degli stessi, anagrafiche aziendali di utenti, manutentori, fornitori etc.
Le aziende fornitrici di software BIM authoring spesso forniscono una serie di servizi e programmi che dialogano tra loro utilizzando formati di condivisione dati sviluppati dalle stesse aziende e quindi non utilizzabili su altre piattaforme di altre compagnie.
Per ovviare a ciò, e rendere effettiva l’interoperabilità, sono stati sviluppati dei formati pubblici, i cosiddetti “formati aperti”, utilizzabili da tutti i software e alle basi delle normative vigenti in campo BIM; il più comune ed utilizzato di questi formati in ambito BIM è quello IFC, acronimo di Industry Foundation Classes.
Lo standard IFC codificato dalla norma ISO 16739-1:2018[5][6][7][8], è uno schema di dati e un formato di interscambio per BIM che si pone l’obiettivo di descrivere in maniera esaustiva le componenti geometriche e la semantica caratteristica di tutto il settore delle costruzioni.
L’iniziativa IFC nasce nel 1994, quando un consorzio industriale investì nella realizzazione di un apposito codice informatico (insieme di classi C++) in grado di supportare lo sviluppo di applicazioni integrate; dodici società statunitensi aderirono al consorzio, che prese il nome di “Industry Alliance for Interoperability”[9].
Nel settembre 1995 il consorzio aprì l’adesione a tutte le parti interessate e nel 1997 cambiò il suo nome in “International Alliance for Interoperability”.
La nuova “Alleanza” fu ricostituita come Organizzazione no profit, con l’obiettivo di sviluppare e promuovere l’Industry Foundation Classes (IFC) come modello di dati neutro, utile a raccogliere informazioni relative a tutto il ciclo di vita di un edificio e dei suoi impianti.
Dal 2005 l’Alleanza porta avanti le proprie attività tramite BuildingSMART, un processo di certificazione che assicura la correttezza dell’importazione ed esportazione dei propri dati IFC, con la garanzia di conformità agli standard.
Il formato IFC è aperto, libero e ben documentato. Fornendo un’interfaccia IFC per l’esportazione e l’importazione conforme allo standard IFC, i fornitori di applicazioni software sono in grado di fornire l’interoperabilità con centinaia di altri strumenti ed applicazioni BIM.
IFC 4.3, che è l’ultima versione di IFC creata da buildingSMART International e disponibile a copertura dei domini delle ferrovie, strade, ponti e porti, ha intrapreso il percorso ISO [acronimo di International Organization for Standardization – N.d.R.]. Il piano prevede che diventi la nuova versione dello standard ISO 16739 entro il primo trimestre del 2023.
Questo piano è attuabile grazie ad un protocollo di intesa, firmato tra buildingSMART International e ISO, che prevede la creazione e la Manutenzione degli standard per l’openBIM all’interno dell’associazione internazionale BuildingSMART e la loro approvazione da parte dell’ISO con modalità più snelle e rapide del solito. Conseguentemente il Comitato Europeo di Normazione (CEN) e l’Ente Italiano di Unificazione (UNI) recepiranno lo standard ISO.
Dal DWG all’IFC 4.3
Dopo il rilascio ufficiale, da parte di BuildingSMART, dello standard IFC 4.3, Autodesk® è stata molto veloce nello sviluppare questa estensione, che per ora è disponibile per la versione 2022 di Civil 3D, non ancora per la 2023, che verrà rilasciata in breve tempo.
Di seguito la procedura indicata da Autodesk® per l’esportazione nel formato IFC:
Fare clic su Esporta IFC Trova. In alternativa, nella riga di comando, immetti ifcexport;
Nella finestra di dialogo Esporta in IFC, specificare le seguenti proprietà:
Per Numero progetto, immettere un numero di progetto per il disegno.
Per Nome progetto, modificare il nome se necessario. Per impostazione predefinita, il nome del progetto è il nome del disegno esportato;
Fare clic su Sfoglia per modificare la posizione predefinita di esportazione del file IFC e fare clic su Salva.
Nota: se si desidera esportare in un file zip, selezionare il file IFCZIP (*.ifczip) dall’elenco a discesa Tipo file;
In File di disegno selezionare i file di disegno da esportare. Gli xrif contenuti nel disegno esportato sono elencati nella vista ad albero sotto il nome del disegno. Se sono stati scaricati nel disegno, sono ombreggiati nella finestra di dialogo Esporta in IFC. Se si seleziona un xrif al livello superiore, vengono selezionati anche tutti gli xrif nidificati all’interno di questo disegno. Espandere il livello superiore e selezionare gli xrif singolarmente, se necessario;
Se si desidera modificare le etichette per gli xrif, fare clic sull’etichetta nella colonna Struttura IFC e selezionare un livello diverso dall’elenco a discesa oppure inserire il testo nel campo. Se si desidera che gli xrif vengano visualizzati come un livello distinto all’interno del file IFC, specificare diverse etichette di identificazione in Struttura IFC. È possibile specificare lo stesso identificatore, ad esempio Level (1), per più xrif per combinare gli oggetti all’interno di tali xrif in un IfcBuildingStorey.
Nota: se i disegni sono stati assegnati ai livelli come parte di un progetto di AutoCAD Architecture, per impostazione predefinita viene visualizzata un’etichetta corrispondente in Struttura IFC. In caso contrario, vengono mappati al Livello 1 per impostazione predefinita;
Immettere una descrizione del file per l’esportazione. È possibile selezionare più file di disegno e modificare contemporaneamente tutte le etichette o le descrizioni;
Se necessario, fai clic su Opzioni per specificare le opzioni di esportazione, ad esempio la versione dello schema da utilizzare e i tipi di oggetto da esportare.
I sistemi di coordinate del disegno possono essere esportati utilizzando la versione dello schema 4 o 4×1. Se a un disegno viene assegnato un sistema di coordinate, le informazioni vengono incluse automaticamente nell’esportazione IFC. Quando il file IFC viene importato, al disegno principale creato viene assegnato il sistema di coordinate trovato nel file IFC importato;
I tracciati di Autodesk Civil 3D® e i relativi dati del profilo del terreno finito associati possono essere esportati utilizzando la versione dello schema 4×1.
Nota: per ogni tracciato, viene esportato un singolo profilo terreno finito.
Se necessario, fare clic su Risorsa e assegnazione per creare istanze IFC e definire le proprietà della risorsa;
Fare clic su Esporta.
Al momento risulta possibile effettuare la conversione in maniera diretta solamente attraverso Civil 3D 2022®[10], esistono tuttavia soluzioni alternative.
È bene specificare che i metodi che verranno descritti non esportano il file DWG in IFC 4.3, ma bensì in IFC di versioni precedenti, che variano in base al metodo utilizzato. È sempre possibile utilizzare un IFC non aggiornato su un programma compatibile con la versione 4.3. In questo caso però, bisogna mettere in conto un’eventuale perdita o modifica dei dati presenti nel progetto in fase di conversione.
Autodesk® mette a disposizione altri software in grado di convertire un file DWG in un file IFC. È infatti possibile l’utilizzo di uno dei set di strumenti AutoCAD® che include la funzionalità di esportazione IFC; parliamo di AutoCAD Architecture®[11] e AutoCAD MEP®.
Le altre due soluzioni suggerite da Autodesk® sono Revit® e Navisworks®. Il primo supporta infatti il formato di file DWG e l’esportazione in IFC ed è possibile, inoltre, aprire il file DWG in Navisworks® ed utilizzare un modulo aggiuntivo di terze parti per l’esportazione nel formato IFC da Navisworks®.
Esistono anche alternative gratuite ai programmi sviluppati da Autodesk®; tra queste la più diffusa è quella di usBIM.viewer+®, programma gratuito sviluppato dall’azienda italiana ACCA®.
A cura di Fabio La Porta, Matteo Brundia, Simona Giangreco e Marvina Shehu
[6] Lo standard ISO 16739 Indutry Foundation Classes (IFC) for data sharing in the construction and Facility Management industries – Part 1:data Schema: https://www.iso.org/standard/70303.html
Datore di lavoro e RSPP sono stati giudicati colpevoli di omessa manutenzione e controllo su funi e catene.
È questo il verdetto della Cassazione Penale nella sentenza del 28 Novembre 2022, in merito all’infortunio di un lavoratore in quota che operava all’interno di un cestello munito di cinture di sicurezza e coadiuvato dal basso da un collega.
L’incidente si è verificato quando le catene che consentivano alla piattaforma di muoversi verticalmente si sono spezzate, facendo precipitare la stessa. Fortunatamente, poiché il lavoratore indossava le cinture di sicurezza, non è stato sbalzato fuori, ma il contraccolpo della discesa gli ha provocato la frattura di entrambe le gambe.
Secondo l’accusa, il datore di lavoro e il responsabile del servizio di prevenzione e protezione, sarebbero responsabili dell’infortunio per aver omesso di disporre le “visite di controllo trimestrali su funi e catene” e non hanno rispettato l’obbligo di legge, specificato nell’articolo 71, comma 3 del Decreto Legislativo numero 81 del 9 aprile 2008.
La sentenza d’appello ha stabilito che l’art. 71, comma 3, del D.Lgs. 81/08, secondo cui le attrezzature di lavoro, elencate nell’Allegato VII al medesimo decreto, siano sottoposte a verifiche periodiche volte a valutarne lo stato di conservazione e di efficienza ai fini della sicurezza, avesse una valenza più generale rispetto al caso in esame.
Ma in ragione di quanto previsto nell’Allegato VII del Decreto, la norma impone comunque l’adozione di tutte le cautele necessarie a eliminare o almeno a ridurre i rischi connessi alle attrezzature da lavoro.
Il tribunale ha quindi concluso che il datore di lavoro e l’RSPP dovessero essere ritenuti responsabili del reato penale per «aver consentito l’impiego» della piattaforma sebbene la stessa non fosse stata «adeguatamente monitorata».
La manutenzione è una questione di civiltà. Prendersi cura del posto di lavoro è segno di buona condotta. Questo episodio ha dimostrato, ancora una volta, la necessità di valutare e confermare che tutti i componenti siano in ordine per garantire la massima sicurezza nell’ambiente di lavoro.
Prorogate al 25 settembre 2023 le disposizioni relative alla qualificazione dei tecnici manutentori antincendio previste dall’art. 4 del D.M. 1° settembre 2021.
Tutte le altre disposizioni stabilite dal medesimo D.M. e, in particolare, dall’articolo 3 – “Controlli e manutenzione degli impianti e delle attrezzature antincendio” e dall’articolo 5 – “Abrogazioni” sono entrate in vigore il 25 settembre u.s.
A partire da tale data, è necessario far riferimento ai criteri generali per manutenzione, controllo periodico e sorveglianza di impianti, attrezzature ed altri sistemi di sicurezza antincendio previsti nell’ Allegato I al decreto 1° settembre 2021.
La circolare n. 16579 stabilisce inoltre la predisposizione, a cura del datore di lavoro, del registro dei controlli.
I corsi di formazione per i manutentori
C’è tempo fino al 31 dicembre 2022 per completare i corsi erogati da enti di formazione accreditati validi per l’ammissione diretta alla prova d’esame orale prevista al punto 4.4 del par. 4 dell’ Allegato II al decreto 1° settembre 2021.
A questo proposito, ricordiamo che i suddetti corsi devono essere stati iniziati e pianificati entro il 25 settembre 2022, data di entrata in vigore del D.M. 1° settembre 2022.
Con successiva nota saranno chiarite le modalità di svolgimento di tale specifica modalità di effettuazione della prova di esame.
A far data dai primi mesi del 2023, saranno comunicate le procedure e il database delle domande di esame necessarie per l’effettuazione delle prove degli esami di qualificazione dei manutentori da effettuarsi presso le strutture del Corpo.
La tendenza oggi per le piccole e grandi imprese è l’informatizzazione dei processi aziendali. In Italia con la norma UNI 10584:1997 viene indicato che il sistema informativo di Manutenzione può essere digitalizzato. A questo riguardo, in ambito aziendale si utilizza sempre più spesso il Sistema Informativo di Manutenzione Computerizzato denominato SIMC. Esso offre ampia flessibilità e possiede un ottimo potenziale di cui possono beneficiare le organizzazioni di ogni dimensione e settore.
Oggi si conoscono tre diverse metodologie usate nell’industria ovvero i modelli reattivi, preventivi e predittivi.
La Manutenzione reattiva si sostanzia in una risposta al malfunzionamento o guasto che si è verificato e che richiede un intervento immediato. Questo modello ha come vantaggio l’assenza di costi iniziali ma i downtime, essendo imprevisti, hanno una durata maggiore.
La Manutenzione preventiva viceversa si incentra sul tempo di utilizzo e sull’intensità del lavoro svolto dall’asset. Durante la programmazione degli interventi si selezionano i momenti in cui i downtime abbiano costi minori, abbattendo i costi di Manutenzione ed effettuando una pianificazione minuziosa.
La Manutenzione predittiva rappresenta invece una novità assoluta per l’industria. Le Intelligenze Artificiali dimostrano tutta la loro duttilità nell’ambiente industriale. Attraverso un processo di Machine Learning, esse sono in grado di interpretare quantità enormi di dati e produrre output. Da questo si ricaveranno le principali indicazioni in merito alla Manutenzione predittiva. Sebbene il costo iniziale possa scoraggiare l’investimento, i principali soggetti operanti nel settore MRO hanno riscontrato una riduzione dei downtime non programmati e un incremento dei margini operativi.
Il SIMC contiene non solo informazioni tecniche ma anche amministrative, permettendo di gestire automaticamente vari processi. Qualora questi dovessero necessitare di autorizzazioni, queste possono essere richieste direttamente dal SIMC. Esso include canali di comunicazione esterna e diversi livelli di accesso. Ciò permette una chiara definizione dei ruoli e una più efficace verifica delle prestazioni.
I benefici di possedere le diverse anagrafi facilmente accessibili e sotto un unico sistema sono utili per le aziende con Sistemi di Gestione ISO. L’implementazione di un SIMC rende più semplice il mantenimento e la conservazione di informazioni documentate, l’individuazione del campo di applicazione e la soddisfazione di altri requisiti. Un SIMC può contribuire a ridurre il numero di non conformità rilevate in fase di audit e i costi di quest’ultimo.
Informazioni di carattere economico risultano utili nella pianificazione delle strategie di business. L’implementazione di un SIMC permette di effettuare in modo più efficiente i controlli tecnico-economici riguardanti la Manutenzione stabilendo KPI appropriati e individuando quali piani di Manutenzione presentino sostanziali margini di miglioramento. In questo modo risulta inoltre più semplice rilevare eventuali problematiche.
Ciò comporta una riduzione dei rischi se valutata attraverso il metodo FMEA. L’impresa può infatti aumentare la probabilità di rilevamento di eventuali guasti prima che questi causino danni.
Il SIMC contiene informazioni utili alla gestione operativa dei processi di Manutenzione. Istruzioni operative, segnalazioni e richieste possono essere utili ai fini della tutela della sicurezza e salute del personale. L’archivio storico permette di individuare i materiali che hanno un impatto economico rilevante, permettendo di applicare strategie di hedging.
Le informazioni contenute nel SIMC si rivelano inoltre utili in caso di vendita degli asset e operazioni di M&A. Un’evidenza oggettiva della corretta esecuzione degli interventi di Manutenzione nel tempo e del buono stato attuale dell’edificio può infatti essere una leva negoziale.
L’implementazione di un SIMC contribuisce quindi a ridurre l’ asimmetria informativa e a rispondere ad eventuali quesiti circa la Manutenzione e lo stato dei propri asset posti da qualsiasi parte interessata.
Infine, un SIMC risulta migliore rispetto ad una soluzione tradizionale anche per alcuni aspetti di sicurezza dei dati e di tutela ambientale. A differenza degli archivi cartacei, i database digitali non sono soggetti a rischi di perdita dei dati per cause naturali come incendi e alluvioni. L’ accesso controllato agli archivi digitali garantisce la riservatezza dei dati ivi contenuti. Avendo a disposizione tutti gli archivi digitalizzati vengono inoltre eliminati tutti i costi relativi alla gestione degli archivi fisici.
Viste quindi le potenzialità dello strumento e considerato che l’implementazione di un SIMC avviene generalmente una sola volta, le imprese dovrebbero considerare le risorse necessarie per l’implementazione come un investimento piuttosto che un costo.
Tutto il mondo dell’industria sta seguendo da vicino gli sviluppi tecnologici degli ultimi anni ed ha visto nelle IoT e nelle IA un efficiente strumento per una costante ottimizzazione dei processi. Per queste ragioni i SIMC sono qualcosa a cui le aziende dovrebbero quantomeno volgere uno sguardo.
A cura di Fabio La Porta, Giuliano Guarna e Alessio Campagna
Gli emigranti partiti dalla Grecia hanno occupato i territori più idonei alle loro esigenze di vita, hanno fondato le città in tempi diversi tenendosi sempre in contatto con la madre patria, osservando i riti religiosi.
Le città più importanti dal punto di vista economico e culturale sono state Reggio, Crotone, Sibari, Taranto, Locri e Caulonia.
Dovunque hanno lasciato resti di opere edili e statue e altre sculture di ottimo livello. Crotone ha avuto la scuola di Pitagora che, oltre a formare la classe dirigente romana, si è formata nelle scienze e nella filosofia. Pitagora e i suoi discepoli si sono spostati anche a Reggio, dando un grande contributo culturale alla città.
I resti archeologici più importanti si sono trovati a Locri, dove c’è un buon museo: città, dove è fiorita una scuola di diritto che ha espresso Zaleuco, che ha scritto un importante codice, forse il primo del mondo antico. Tuttavia, non potendosi espandere lungo la costa, pressata a sud da Reggio e a nord da Crotone, dominante fino alla vicina Caulonia, egli ha intrapreso la traversata dell’appennino fondando le città di Metauros, Medma e Ipponion sul Tirreno.
Queste città satelliti di Locri hanno sviluppato i commerci sul Tirreno fondando città nel Cilento come Paestum. Tralasciando il periodo storico importantissimo del Medioevo, valorizzando il contributo al pensiero europeo di Gioacchino da Fiore, Tommaso Campanella e Bernardino Telesio e del Rinascimento fino al tempo di Napoleone, possiamo affermare che il Regno Borbonico ha realizzato industrie e infrastrutture con una visione ampia e di lungo periodo: le strade e la ferrovia realizzate da loro e dal governo di Cavour, sono ancora utilizzate, anche se non più rispondenti alle esigenze attuali dei cittadini.
Oggi è necessario che il governo del Paese, la Regione Calabria e i comuni rivieraschi, guardino al futuro di almeno cento anni e si inseriscano in un grande progetto di sistema che possa avviare un secondo motore al Sud per sviluppare l’economia meridionale, che aiuterà l’Italia e l’Europa.
Tutto ciò è possibile perché nel canale e nello stretto di Sicilia passa il 25 % della merce mondiale. I porti di Augusta e di Gioia Tauro possono intercettare una parte considerevole di tale ricchezza e inviarla con scambi intermedi di merci sia a Genova che a Trieste via mare e via terra da Reggio Calabria all’interporto di Bologna. In attesa del ponte sullo stretto, da Gioia Tauro e da Augusta, le merci passeranno sulla ferrovia ionica e adriatica con destinazione, tramite Bologna, il centro Europa in poche ore.
Se questo è il futuro sarà necessario realizzare l’alta capacità sulla linea ionica e adriatica e l’alta velocità su quella tirrenica. Quindi, guardando ai prossimi cento anni va sfruttata tutta la potenzialità della costa Reggio Calabria – Taranto.
La proposta non può guardare solo ai prossimi dieci anni:
L’attuale ferrovia ionica va coperta e trasformata in una pista ciclabile di circa 600 km con 35 alberghi adeguando le relative stazioni ormai abbandonate;
Va realizzata l’autostrada ionica con i più moderni sistemi di gestione; tale infrastruttura si può fare senza ulteriori investimenti dello Stato. In un prossimo articolo pubblichiamo il progetto di fattibilità e l’impegno dei fondi internazionali per la realizzazione.
Accanto all’autostrada va realizzata dallo Stato una moderna ferroviaria a doppio binario per gli scambi commerciali tra Europa, Africa e Asia.
In conclusione, si può osservare che i greci hanno trovato conveniente stabilirsi nel Mezzogiorno d’Italia, per poter commerciare, studiare e alimentare le ricchezze anche della Grecia originaria.
Gli attuali abitanti del Sud vanno stimolati culturalmente, a riappropriarsi di una tale eccezionale convenienza, che apporterà grandi vantaggi al Paese e all’Europa.
Nel corso della sua trentennale carriera professionale, l’ing. Cecili ha ricoperto prestigiosi incarichi all’interno di ACEA S.p.A. occupandosi della gestione dell’esercizio idrico e dei servizi ad esso correlati. Dal 2017 al 2018, l’ing. Cecili è stato Presidente di ACEA ATO 2. Abbiamo il piacere di intervistarlo in merito all’emergenza idrica nel nostro Paese.
Buongiorno ingegnere e grazie per aver accettato il nostro invito. La siccità registrata in Italia a giugno e luglio 2022 ha riportato nelle cronache il tema della scarsità di acqua; eppure l’Istat ha calcolato che nel 2020, in Italia, sia stata sprecata il 36,2% dell’acqua immessa in rete. Questo dato è la conseguenza dello stato delle tubature, che nel 60% dei casi è stato messo in posa più di 30 anni fa. In che modo una corretta manutenzione può incidere su questi dati?
La manutenzione del parco acquedottistico e delle reti idriche italiane è fondamentale. Si tratta di una manutenzione che deve essere affrontata da un punto di vista ingegneristico, con un approccio molto differente dal passato.
Oggi, grazie all’introduzione diffusissima di sensoristica delle reti, e alla possibilità di acquisire dei dati in continuo, è possibile valutare e selezionare quelle zone in cui ci sono maggiori perdite idriche, per intervenire direttamente e tempestivamente sul punto, ai fini della riduzione della quantità di risorsa idrica che viene persa dal sistema acquedottistico.
Fino a dieci anni fa, era impossibile realizzare queste cose sostanzialmente per due fattori, oggi superati: il costo della sensoristica e l’indisponibilità di reti di comunicazione adeguate.
Grazie alle nuove tecnologie e alla possibilità di poter inserire i sistemi di telecontrollo della lettura e della misura dell’utenza, siamo capaci di fare un raffronto tra la quantità di acqua immessa in rete e le quantità di acqua effettivamente distribuita all’utenza, e conseguentemente, di intervenire direttamente laddove è maggiore questa differenza.
In sostanza, se affrontata da un punto di vista ingegneristico, ovvero attraverso una nuova concezione di approccio, sia delle strutture esistenti, sia dell’implementazione di queste nuove tecnologie, l’evoluzione tecnologica di questi ultimi anni ci mette in condizione di ridurre la percentuale di perdite idriche misurata dall’Istat.
All’interno del territorio italiano, il divario è ancora più netto fra le zone in cui sono presenti società di gestione più virtuose e zone in cui le società di gestione lo sono meno.
Esistono delle valide tecnologie per rimediare a questa situazione di inefficienza idrica?
Assolutamente sì. Sul territorio italiano sono comunque rare le società in cui il divario fra la quantità di acqua prelevata dall’ambiente e quella effettivamente distribuita all’utenza e consumata dal cittadino, abbiano percentuali limitate fra il 10% e il 20%, valori questi che, a livello mondiale, caratterizzano una società virtuosa.
A fronte di 900 milioni di euro stanziati dal PNRR per l’efficientamento idrico, Il MIMS ha ricevuto 119 proposte di interventi. Esistono delle tecniche innovative che permettono di ridurre le perdite idriche senza dover sostituire le condotte?
Per quanto riguarda la mia esperienza, l’approccio corretto è rappresentato dall’affrontare questo problema complesso sezionando i vari settori in cui intervenire. Ciò è possibile operando attraverso progetti specifici sul reparto che riguarda il prelievo dell’acqua dall’ambiente, sulla struttura impiantistica che concerne la captazione, il trasporto e l’immagazzinamento dell’acqua, sui serbatoi e sull’ultima parte che riguarda la distribuzione della rete idrica e la consegna all’utenza.
Per ciascuno dei singoli settori: captazione, adduzione, distribuzione e consegna all’utenza, è di fondamentale importanza che si aprano dei cantieri di lavoro, in modo da analizzare quali sono le componenti tecniche che devono essere costantemente o periodicamente controllate.
Il monitoraggio può avvenire in maniera diretta, attraverso del personale predisposto, oppure mediante sistemi di telecontrollo, con sistemi video, con delle visure, in modo tale da percepire immediatamente quelle che sono le variazioni ed intervenire tempestivamente.
Per esperienza so che, fatto 100 il numero delle perdite su una rete, solamente il 40% di queste risulta visibile; il 30% si trova in ambienti ispezionabili dai tecnici (manufatti di manovra, nei centri idrici, nei serbatoi, ecc.) mentre il restante 30% non è visibile.
Questo ordine di grandezza suggerisce che, oltre alla verifica visiva della perdita sulla strada, c’è una percentuale di perdite pari al 60% che deve essere affrontata con una serie di tecnologie oggi disponibili e che, grazie al PNRR, possono essere sviluppate e utilizzate per recuperare questo grande margine sul quale è possibile intervenire.
La “Water Service Divide” è la linea immaginaria che divide il sistema idrico del Paese, con le regioni del sud che si confermano soffrire maggiormente l’inefficienza delle infrastrutture idriche. Esiste una strategia per poter colmare questo divario?
Certamente. Il divario può essere analizzato anche da un punto di vista legato alla vetustà degli impianti e alla quantità di investimenti che sono stati realizzati su di essi. C’è una grossa differenza tra nord e sud Italia riguardo sia alle attività di manutenzione ordinaria che vengono fatte sugli impianti, sia alla quantità degli investimenti effettuati. Soprattutto relativamente a questo secondo punto, sussistono delle differenze enormi.
A livello europeo l’investimento globale su un servizio idrico ha valori medi consigliati di 80-100 euro annui per abitante; in Italia le società più virtuose investono circa la metà. Serve un forte impulso nella realizzazione sia di nuove opere, sia nel mantenimento e nella ristrutturazione di opere preesistenti.
Questo è un problema che si presenta soprattutto nel sud Italia. Se noi prendessimo un elenco delle società più virtuose, ovvero che hanno minori perdite sulla loro rete idrica, scopriremmo che, nel 99% dei casi si tratta di società che appartengono al centro-nord Italia. Sotto questo punto di vista, il PNRR è fondamentale per ridurre il gap infrastrutturale.
Parliamo spesso di responsabilità individuale. Quanto pesa il comportamento di ogni persona nel consumo idrico quotidiano? Quali sono le best practices che il singolo cittadino può mettere in atto per limitare lo spreco d’acqua?
Al di là dei consigli che si possono dare al cittadino sul corretto utilizzo della risorsa idrica, ritengo sia necessario, da un punto di vista generale, diffondere la “cultura dell’acqua”.
Il flusso dell’acque che esce dal rubinetto ha dietro di sé una struttura impiantistica e gestionale molto importante. È necessario diffondere una cultura legata al valore dell’acqua.
Nel momento in cui utilizza quest’acqua, il cittadino deve comprendere che dietro ogni goccia c’è un grande lavoro; ci sono strutture a livello comunale, a livello regionale e a livello statale che lavorano per consentirgli questo flusso.
È un problema culturale; ed è quindi fondamentale avviare un’opera di sensibilizzazione che parta dalle scuole. Bisogna fare in fretta, in quanto stiamo attraversando un periodo che non si era mai verificato prima in forma così grave e con il quale oggi ci ritroviamo a fare i conti.
Esiste tutta una serie di atteggiamenti individuali da adottare per evitare lo spreco idrico, come ad esempio: chiudere il rubinetto quando ci si lava i denti, utilizzare la lavatrice a pieno carico, riciclare l’acqua di cottura della pasta per innaffiare i fiori, piuttosto che gettarla nel lavandino. Altri esempi possono essere: preferire la doccia, piuttosto che il bagno nella vasca e utilizzare i rubinetti frangigetto.
Lo spreco dell’acqua appartiene perlopiù ad una concezione legata anche al fatto che, in molti comuni, l’acqua veniva in precedenza concepita come un bene pubblico e gratuito, senza un valore reale.
Oggi invece, è necessario dare valore all’acqua, sia da un punto di vista ambientale, che da un punto di vista gestionale: fornire ai rubinetti dei cittadini acqua di buona qualità, garantita e potabile, ha un costo gestionale.
Non si può poi infine dimenticare l’utilizzo che facciamo dell’acqua, una volta riversata nelle fogne e negli impianti di depurazione.
Alcune zone del nostro Paese sono ancora carenti sotto l’aspetto infrastrutturale; il PNRR potrebbe intervenire soprattutto nelle regioni del sud Italia, attraverso investimenti nella costruzione e nella manutenzione di impianti fognari, oltre che nella costruzione, manutenzione ed esercizio degli impianti di depurazione.
In questo modo sarebbe possibile reimmettere nell’ambiente acqua depurata e, conseguentemente, ridurre l’inquinamento.
Ringraziamo l’ing. Cecili per il suo contributo. In conclusione, è fondamentale che a livello istituzionale, tecnico e personale si diffonda una cultura di valorizzazione della risorsa idrica; una “cultura dell’acqua” appunto.
Nella storia del nostro Paese i controlli, se organizzati con una visione di sistema, spesso hanno dato certezze socialmente condivise utili per la stabilità e la crescita delle comunità.
È nota l’autorevolezza del curator aquarum per la salute degli acquedotti dell’Urbe in epoca romana, repubblicana e poi imperiale, ma anche del “Magistrato alle acque”, nome che riassumeva una serie di magistrature incaricate di sorvegliare e amministrare il regime idraulico del bacino della laguna veneta, nel Governo della Repubblica “Serenissima” tra il 1500 e la metà del XVII secolo. Si può ricordare ugualmente il controllo più che secolare dei Regi Lagni nelle campagne a sud di Napoli, dopo la loro realizzazione agli inizi del Seicento.
In un ben diverso contesto, oggi si avverte una singolare contraddizione. Infatti, negli ultimi decenni si è assistito a un aumento significativo della complessità in molti ambiti, in particolare in quelli economici, sociali, tecnologici; parallelamente si sono diffuse l’attesa di sicurezza e l’esigenza di avere realizzazioni di qualità, con meno corruzione e più trasparenza.
Così l’esigenza dei controlli è aumentata ancora più velocemente anche per l’evoluzione della cultura amministrativa o per l’attesa di integrità e trasparenza, ma il legislatore ha ritenuto di innovare soprattutto all’interno della stessa Pubblica Amministrazione.
In primo luogo, in una visione di sistema, gli interventi per razionalizzarli sono stati poco efficaci per i lunghi tempi di predisposizione e approvazione delle norme, arrivate in ritardo sui nuovi ulteriori cambiamenti del contesto. Lo testimoniano – seguendo lo studio SNA [Scuola Nazionale dell’Amministrazione – N.d.R.] e IRPA [Istituto di Ricerche sulla Pubblica Amministrazione – N.d.R.] Lo stato dei controlli nelle Pubbliche amministrazioni, a cura di Elisa D’Alterio, giugno 2013 – 21 provvedimenti specifici tra Leggi e Decreti Legislativi approvati tra il 1989 e il 2012, ai quali si dovrebbero aggiungere, tra l’altro, direttive, delibere, linee guida, circolari, emanate da Presidenza del Consiglio, Corte dei conti, Ragioneria generale dello Stato, e Commissione indipendente per la valutazione, la trasparenza e l’integrità delle amministrazioni pubbliche.
In secondo luogo, molti cittadini e corpi intermedi hanno mostrato una insofferenza crescente per gli stessi controlli, percepiti sempre di più come sovrastruttura obsoleta e non come una condivisione responsabile per contribuire alla stabilità e alla crescita.
All’interno dell’universo delle verifiche dipendenti da un rapporto con la sfera pubblica, se non altro per gli aspetti finanziari, hanno particolare rilievo quelle collegate con il Territorio, l’Ambiente, le infrastrutture sociali – ad esempio per Sanità, Istruzione, Logistica, Trasporti – i complessi per l’uso pubblico, stadi, aeroporti, teatri, uffici, ecc. – gli stabilimenti per la produzione o distribuzione di beni e servizi, e ancora il patrimonio immobiliare di Stato, Regioni, Enti locali.
Sono beni che richiedono controlli – certamente su progetto, realizzazione, efficacia, efficienza, sicurezza – e per mantenere nel tempo la loro funzionalità sono necessari processi di Manutenzione che, nello scenario descritto, si realizzano dopo scelte caratterizzate dall’incertezza e da possibili responsabilità civili e penali degli amministratori e dei dirigenti degli organismi che autorizzano o attuano detti processi.
In effetti le articolazioni della Pubblica Amministrazione non sembrano ancora ben coordinate tra loro. Sono sempre possibili conflitti di attribuzione, mentre non risulta ancora ben definito l’equilibrio tra i controlli che riguardano soprattutto o la natura e l’efficacia dei servizi collegati alle funzioni amministrative o la regolarità e coerenza degli stessi procedimenti amministrativi.
È un aspetto che interessa in modo particolare la cosiddetta “burocrazia difensiva”; in proposito la rigorosa analisi statistica riportata nell’articolo Indagine sull’amministrazione difensiva di Stefano Battini e Francesco Decarolis (Rivista Italiana di Public Management – Vol 3, N.2, 2020) riporta che secondo i RUP [Responsabili Unici del Procedimento – N.d.R.] intervistati “…una quota tra il 30 e il 50 percento delle decisioni sia individuali che della stazione appaltante di provenienza vengano prese in ottica difensiva.”
In alcuni ambiti la complessità descritta può essere accentuata dalle decisioni delle Authority o dalla legislazione concorrente tra Stato e Regioni, come può emergere nelle Conferenze dei servizi o nei rapporti Concedente/Concessionario.
In più, Regioni ed Enti locali tendono a privilegiare le politiche della spesa rispetto ad altre ritenute meno popolari, mentre – prendendo come riferimento uno spunto sintetico di Giuseppe Beato su EticaPA del 10 maggio 2022 – si riscontrano improvvisi rafforzamenti e quindi allentamenti dei controlli non collegati a una visione strategica (ad esempio di politica economica) ma rispettivamente o a pressioni dell’opinione pubblica (dopo episodi di corruzioni o disastri) o a emergenze contingenti (rivitalizzare qualche settore economico). Sembra auspicabile, comunque, un ruolo ancora più incisivo sulla gestione della spesa da parte della Corte dei conti.
Quanto precede aiuta a comprendere i contrasti e le incertezze tra i cittadini, nella società, nella politica, o nelle stesse rappresentanze di interessi, quando si deve decidere sui “controlli”. In particolare, per la Manutenzione, le prescrizioni possono rinviare a funzioni generali ma prive di indicazioni operative (assicurare l’alta sorveglianza; vigilare per garantire; ecc.) o indirizzare a obiettivi specifici espressi in termini generali (garantire la sicurezza; ecc.).
Così, di fatto, negli organismi interessati si caricano di responsabilità civili e penali o le posizioni di vertice (per assenza di indicazioni sulle attività essenziali da svolgere), o gli operatori incaricati delle fasi conclusive dei processi (asseverazioni, ispezioni delle attrezzature per la sicurezza, ecc.).
Si trovano sempre più spesso, da un lato coloro che ritengono i controlli necessari soprattutto per definire ed ampliare la trasparenza e per garantire i rapporti tra Istituzioni, Enti, persone fisiche e giuridiche, e dall’altro coloro che li considerano quasi un restringimento della libertà, anche di impresa, e un ostacolo allo sviluppo. Si può arrivare a divergenze aprioristiche: avviene ad esempio nel dibattito sui controlli ex ante o in corso di realizzazione o ex post di un’opera, quando si trascurano aspetti come l’impostazione delle procedure di acquisto/appalto, o la natura e dimensione di un’opera o la sua durata economica.
L’insieme delle considerazioni che precedono sottolinea l’utilità di valutare nuovi punti di vista sia per continuare a diffondere la cultura della Manutenzione, soprattutto nelle Istituzioni e negli organismi di rappresentanza di interessi, sia per comunicarla al “sociale” fino a far nascere una maggiore richiesta di Manutenzione, sia ancora per trasformare l’insofferenza già delineata nei cittadini e nelle forze produttive in una parziale assunzione di responsabilità diretta verso il Territorio, l’Ambiente, le infrastrutture, il costruito.
Le ipotesi di dettaglio che seguono sono suggerite solo come spunti di riflessione.
Alcuni Stati, in particolare Francia e Germania, dove i controlli mostrano un’architettura chiara e coerente, risultano forti e resilienti: danno certezze agli Enti che li gestiscono, alle Istituzioni che finanziano le opere, ai cittadini e ai corpi sociali intermedi; assicurano qualità confrontabili; aiutano il dialogo tra i sistemi scientifici, produttivi, finanziari a vantaggio della collettività.
Partendo da questo punto di vista si possono mettere a confronto alcuni Stati europei con il nostro Paese per misurare anche sul PIL sia l’incidenza del “valore economico” che i controlli assicurano direttamente e indirettamente, sia il livello – mai analizzato – dell’intera occupazione del settore, sia in ultimo alcuni differenziali di efficienza e una misura della ricchezza dissipata per le disfunzioni finora accennate.
A titolo di esempio la Raccomandazione del Consiglio sull’Integrità nel Settore Pubblico-OCSE Strumenti Giuridici – 2017 sottolinea che nei Paesi aderenti, dal 10 al 30% di un’opera pubblica rischia di andare perso per cattiva gestione e corruzione.
Per i controlli e la Manutenzione nell’ambito della sfera pubblica
Alcune politiche innovative hanno costi trascurabili. Tramite una analisi down/top che parta dalle esigenze operative finali di una infrastruttura in rapporto alla sua Manutenzione, si possono definire delle “filiere” di atti autorizzativi e di controlli limitandoli a quelli per le garanzie essenziali finanziarie, amministrative, di sicurezza, tecniche.
Si dovrebbero attribuire responsabilità esclusive, univoche e ben delimitate, alle funzioni degli organismi interessati, possibilmente secondo un criterio di prevalenza e, quindi, ridurre il ricorso alle prassi di formule quali “sentito il parere di…”, “di concerto con…”, spesso all’origine di ritardi conflittuali.
Possono essere introdotti rapidamente anche i criteri reputazionali nell’aggiudicazione dei contratti pubblici, accompagnati da un adeguato inasprimento delle sanzioni repressive attraverso l’uso degli stessi criteri. Inoltre, la diffusione dei poco noti “controlli collaborativi”, può comportare un ampliamento del rapporto di fiducia con le Istituzioni.
Questo tipo di scenario, ampliato e reso coerente, contribuirebbe a limitare quella interpretazione estensiva di “alta sorveglianza” o di “vigilanza” in grado di determinare procedimenti civili e penali assimilati da alcuni all’introduzione di fatto nel nostro ordinamento di una responsabilità penale oggettiva, che scavalca l’art. 27 della Costituzione quando afferma che “la responsabilità penale è personale”.
Per la digitalizzazione dei controlli nei processi di Manutenzione
Non risultano ancora dati organici su una maggiore efficienza conseguita dalla digitalizzazione o dalla informatizzazione nei controlli operati dalla Pubblica Amministrazione. Comunque, la digitalizzazione si è diffusa molto velocemente nell’ambito della Manutenzione, soprattutto dopo il crollo del viadotto sul Polcevera nel 2018.
Da un lato per la progressiva obbligatorietà del BIM (introdotto con il D.M. 560/2017 modificato dal D.M. 312/2021), dall’altro per la diffusione dei monitoraggi effettuati tramite sensori.
Quest’ultimo tipo di intervento viene spesso ritenuto più efficace rispetto a una buona Manutenzione, ma richiede di valutare ed elaborare le informazioni dei Big data raccolti con gli strumenti dell’Intelligenza Artificiale per comprenderne e definire le implicazioni operative. È maturata, così, l’urgenza di mettere a punto anche delle Linee guida relative alla digitalizzazione e ai monitoraggi effettuati tramite sensori nei processi di Manutenzione per il territorio e le infrastrutture.
Il governo italiano non ha accantonato il progetto del Ponte sullo Stretto di Messina. Lo ha dichiarato di recente Enrico Giovannini, ministro delle Infrastrutture e della Mobilità Sostenibili (Mims), ribadendo l’interesse su una delle Grandi Opere più note in Italia.
Il ministro è intervenuto sul dibattito in occasione dell’inaugurazione della Iginia, una nuova nave green per il servizio di traghettamento dello Stretto, operata da Rfi (Rete Ferroviaria Italiana), del Gruppo Ferrovie dello Stato, che offrirà servizi per il trasporto di treni, passeggeri e merci tra Messina e Villa San Giovanni.
Nello specifico, Giovannini ha rilanciato il progetto in questi termini: “Non abbiamo messo da parte il Ponte sullo Stretto, abbiamo affidato a Rfi lo studio di fattibilità per analizzare i diversi aspetti. Rfi ci ha mandato un primo cronoprogramma, ne stiamo parlando in maniera tale da procedere prima possibile all’avvio dello studio di fattibilità”.
A gennaio di quest’anno il governo di Mario Draghi ha impresso una nuova accelerazione sul progetto del Ponte, dando avvio allo studio di fattibilità tecnico-economica e affidandolo alla società Rfi, in quanto “capace di garantire la più appropriata continuità e interconnessione dell’intervento con quelli ferroviari progettati nei territori calabresi e siciliani”.
Da parte sua, il ministro Giovannini ha auspicato che il prima possibile si apra in Parlamento una discussione sul tema. Infine ha sottolineato che deve essere valutata la sostenibilità del progetto in riferimento soprattutto all’impatto ambientale sul territorio.
In questi giorni si legge di tutto sui media meridionali relativamente alla realizzazione delle grandi infrastrutture del Sud. Per questi guastatori ( probabilmente ben remunerati) la via è quella di contrastare le proposte reazzabili dello Stato, il cui Governo non può non attuare le leggi vigenti. A queste si deve attenere il Ministro Giovannini quando informa il Parlamento e così ha fatto; ha tentato di intromettersi nel campo tecnico ritenendosi abilitato , sbagliando, a farsi suggerire di non realizzare il ponte. Coloro che ripropongono la soluzione indicata nel progetto a una campata di 3330 metri, dicendo che si tratta di un progetto cantierabile, sanno di affermare una menzogna. Il cantiere di FS a Cannitello non fa parte del progetto del ponte. Attualmente vige in Italia la legge basata sul recepimento delle Direttive Europee e ad essa di è attenuto il Governo. Si tratta del D. L. numero 50 del 2016 articoli 23-24-25-26. non più la Legge Obbiettivo abolita dal Parlamento.
Il General contractor non c’è più. Il Governo, la Cassazione e la Consulta hanno dato ragione al Governo e se il Signor Salini vuole costruire il ponte deve partecipare e vincere l’appalto internazionale previsto dalla legge vigente. La legge citata impone di elaborare tre progetti di fattibilità su tre soluzioni diverse; e non è una invenzione di Giovannini, che ha incaricato Italfer a redigere i tre progetti di fattibilità. Il Committente ( cioè Anas e RFI) sceglie la migliore soluzione è procede alla redazione del Progetto definitivo da presentare al Consiglio Superiore dei Lavori Pubblici per l’obbligatorio parere. Se il parere sarà positivo si passerà alla gara d’appalto nel cui bando si ricorrerà preferibilmente al sistema a misura. L’Impresa o le imprese che vinceranno la gara ordineranno le varie parti del ponte a società specializzate che alla fine dei lavori porteranno via mare i prodotti da assemblare nel Cantiere dello stretto, formato da circa 300 specialisti esperti nell’assemblaggio. Sarà come si costruiscono ormai i vari tipi di macchine a partire dalle automobili. Siamo quindi di fronte a una attività prettamente industriale e non più civile.
Da varie parti si tenta di suggerire il ritorno al passato ormai sepolto e non tener conto delle norme vigenti nel nostro paese. Io ritengo invece che i vertici tecnici del nostro Stato vanno lasciati liberi di agire e di tener conto anche del lavoro svolto dalla stessa SdS Società dello Stretto negli ultimi anni. Non vedo alcuna ragione di insistere di alcuni cosiddetti esperti su una o altra soluzione. La legge è chiara: la scelta è del Committente.
Lo ripeto i vertici tecnici italiani sono in grado di fare la scelta giusta.
A un anno dall’inizio della sua attività, anche l’ANSFISA, l’Agenzia Nazionale per la Sicurezza delle Ferrovie e delle Infrastrutture stradali e autostradali, sottolinea il valore della cultura della manutenzione. È quanto emerge dalla prima relazione dell’Agenzia, pubblicata in questi giorni, e inviata al Mims (Ministero delle Infrastrutture e della Mobilità Sostenibili) e al Parlamento.
Il documento conferma, come già ribadito da anni dal Comitato Nazionale Italiano per la Manutenzione (CNIM), l’importanza della prevenzione e della messa in sicurezza del sistema dei trasporti e delle infrastrutture italiane.
A partire da luglio 2021, l’Ansfisa ha coinvolto 30 tecnici organizzati in commissioni che hanno operato su 13 tratte stradali/autostradali e 170 opere civili (ponti, viadotti e gallerie) distribuite su tutto il territorio nazionale, effettuando 27 ispezioni e 5 audit dei sistemi di gestione della sicurezza presso i gestori. In aggiunta, sono state portate avanti ispezioni in 9 gallerie situate sulla rete transazionale (TERN) e 5 verifiche su ponti mobili e tratte segnalate per criticità.
Le ispezioni finora non hanno evidenziato criticità tali da pregiudicare la sicurezza dell’infrastruttura o della circolazione stradale e autostradale: non è stato, quindi, necessario imporre immediate limitazioni all’uso delle infrastrutture. Tuttavia, il quadro complessivo ha rilevato una realtà disomogenea nel monitoraggio delle opere e carenze manutentive diffuse.
La Direzione generale per la sicurezza delle ferrovie ha intensificato nel corso del 2021 l’attività di supervisione: sono state ispezionate 43 imprese ferroviarie, 12 gestori dell’infrastruttura, 2 gestori di reti isolate per un totale di 1.200 elementi verificati (veicoli e operatività del personale) a cui si aggiungono 21 audit sul gestore dell’infrastruttura nazionale e 23 procedimenti di segnalazione di irregolarità attivati a seguito di ispezione. Inoltre, sono stati emessi 11 certificati e 2 autorizzazioni di sicurezza, 48 autorizzazioni di tipi di veicoli su reti interconnesse, 2 sulle reti isolate, 162 autorizzazioni per l’immissione sul mercato di 697 veicoli ferroviari e 65 autorizzazioni per la messa in servizio di sottosistemi e applicazioni generiche di bordo e di terra.
Nel 2022, l’agenzia estenderà il suo intervento anche alla Commissione Permanente Gallerie e alla sicurezza degli impianti fissi di metropolitane, funivie, tram, ascensori, e scale mobili.
“Lo scopo di Ansfisa – ha dichiarato il Direttore Domenico De Bartolomeo – è quello di uniformare il più possibile il monitoraggio delle infrastrutture da parte dei gestori che sono i primi responsabili della sicurezza. Stiamo lavorando per accompagnare le aziende verso una nuova attenzione alla manutenzione che la renda più efficace. L’Agenzia vigilerà su questo aspetto a tutela della sicurezza dei cittadini in ogni settore di sua competenza: dai treni alle metropolitane, dalle funivie alle strade, ponti e gallerie”.
Uniformare il monitoraggio delle infrastrutture e diffondere una cultura della manutenzione del territorio dovrebbero essere una priorità d’azione per lo sviluppo sociale ed economico dell’Italia. Per fornire la più vasta formazione tecnica nell’ampio panorama del territorio, il CNIM ha pubblicato già nel 2019 le “Linee Guida per la Manutenzione delle Infrastrutture nel Territorio”, edito da DEI Tipografia del Genio Civile.
Entro il 2050 l’idrogeno, e in particolare l’idrogeno verde, arriverà a coprire il 12% del consumo globale di energia. È la stima dell’Agenzia internazionale per le energie rinnovabili (Irena), che pubblica un rapporto dal titolo Geopolitica della trasformazione energetica: il fattore idrogeno.
Secondo l’organismo, l’idrogeno verde diventerà un “vettore” sempre più determinante per immagazzinare, spostare e commercializzare energia, fino a cambiare la geopolitica dei rapporti tra gli Stati, modificando le relazioni commerciali che si basano sugli equilibri dettati da petrolio e gas.
L’idrogeno “verde”, come suggerisce il colore, è la variante più sostenibile dell’idrogeno, prodotta ad impatto ambientale zero mediante l’elettrolisi dell’acqua alimentata da energie provenienti da fonti rinnovabili. Si tratta di una tecnica complessa, che richiede grande apporto di energia per scindere l’acqua in ossigeno e idrogeno. Si distingue dall’idrogeno “marrone” o “grigio” – che viene ricavato dal carbone o dal gas naturale, ha costi di estrazione più bassi, ma una forte carica inquinante – e da quello “blu” che cattura e stocca il carbonio prodotto.
Francesco La Camera, direttore generale dell’Irena, sostiene che già diversi Paesi a livello mondiale stanno stabilendo nuove relazioni bilaterali intorno all’idrogeno, come Germania, Giappone, Australia, Oman, Arabia Saudita e Emirati Arabi Uniti. Il rapporto evidenzia inoltre che l’idrogeno verde sarà in grado di competere a livello globale con l’idrogeno da combustibili fossili e questo potrebbe accadere anche prima in Paesi come la Cina, il Brasile e l’India.
Anche l’Italia, nel suo Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza, ha deciso di puntare su questa fonte di energia investendo 2 miliardi di euro nel suo sviluppo. L’obiettivo, in linea con quello europeo, è fare in modo che l’idrogeno risponda al 2% della domanda energetica entro il 2030, raggiunga il 13-14% entro il 2050 e il traguardo del 20% negli anni successivi.
Il Ministero delle Infrastrutture e della Mobilità Sostenibili (Mims) avvia in maniera ufficiale un nuovo studio di fattibilità tecnico-economica in vista della realizzazione del Ponte sullo Stretto di Messina. È quanto ha comunicato ieri al Consiglio dei Ministri Enrico Giovannini, a capo del dicastero. In una nota si legge che lo studio “dovrà prendere in esame la soluzione progettuale del ‘ponte aereo a più campate’”, valutandone la sostenibilità e mettendola a confronto con quella del ponte “a campata unica” e con la cosiddetta “opzione zero”.
Si tratta del primo passo del governo di Mario Draghi per ridiscutere il progetto del ponte. L’obiettivo dello studio, si legge nella nota del Mims, è la “realizzazione di un sistema di attraversamento stabile dello Stretto di Messina”. All’acquisizione del documento di fattibilità tecnico-economica – si legge ancora – provvederà, tramite procedura di evidenza pubblica, la società Rfi Spa (la società di gestione della rete ferroviaria controllata da Ferrovie dello Stato), in quanto “capace di garantire la più appropriata continuità e interconnessione dell’intervento con quelli ferroviari progettati nei territori calabresi e siciliani”.
Il ministero ha quindi dato mandato alla Direzione generale di avviare il processo amministrativo per lo studio di fattibilità, attingendo ai fondi stanziati allo scopo dalla Legge di bilancio del 2021. La comunicazione ricorda inoltre che nei mesi scorsi il Governo ha destinato 510 milioni di euro provenienti dai fondi del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (Pnrr) e del Piano complementare per potenziare l’attraversamento dinamico dello Stretto di Messina.
Il Ministero sottolinea che gli interventi sono volti a migliorare e velocizzare l’attraversamento dello Stretto, favorendo la transizione ecologica della mobilità marittima e la riduzione dell’inquinamento. Tra le iniziative adottate figurano la riqualificazione del naviglio per il trasbordo ferroviario con la messa in esercizio di due nuove navi e l’ibridizzazione di tutta la flotta, il rinnovo del materiale rotabile ferroviario per velocizzare le manovre di carico/scarico dei treni, la riqualificazione del naviglio veloce per i passeggeri e delle stazioni ferroviarie di Messina, Reggio Calabria e Villa San Giovanni. Infine il Mims annuncia nuovi interventi per migliorare l’accessibilità stradale ai porti.
Sono appena state pubblicate dall’ISO delle nuove linee guida che puntano ad azzerare le emissioni di gas serra prodotte dal settore edile, al fine di contrastare i cambiamenti climatici.
Si tratta dell’ISO/TS 23764, Metodologia per la realizzazione di edifici non residenziali a energia zero, che traccia un approccio graduale che le organizzazioni possono seguire per ridurre il consumo energetico degli edifici che occupano e contrastarlo grazie all’utilizzo di fonti rinnovabili. Vi sono considerati elementi come il riscaldamento, il raffrescamento, l’acqua calda, l’illuminazione, gli ascensori, l’uso di energie rinnovabili, la gestione dell’energia e altro ancora.
Lo standard contribuisce anche a rendere realtà molti degli obiettivi di sviluppo sostenibile delle Nazioni Unite, tra i quali l’energia pulita e accessibile, le città e le comunità sostenibili e l’azione per il clima.
La Regione Emilia-Romagna ha approvato delle specifiche Linee guida, tra le prime in Italia, per favorire l’istallazione di impianti fotovoltaici in cave e discariche dismesse. L’iniziativa è in linea con il Patto per il Lavoro e il Clima e vuole dare nuovo impulso alla produzione di energia rinnovabile. Gli obiettivi sono ambiziosi: completare la transizione ecologica e raggiungere la neutralità carbonica entro il 2050.
Nello specifico, le Linee guida approvate favoriscono l’installazione di impianti fotovoltaici sulle aree di cava dove l’attività estrattiva si è già conclusa. I nuovi impianti arriveranno fino a 20 megawatt, saranno connessi alla rete elettrica di media tensione e potranno partire con una semplice comunicazione di inizio lavori. Lo stesso vale per le zone industriali e commerciali, oltre che per le discariche non più attive.
La Giunta regionale ha previsto due modelli di installazione a seconda del tipo di terreno: in caso di bacini idrici, gli impianti fotovoltaici saranno “flottanti”, cioè galleggianti; in quelli restituiti a un uso agricolo, si promuove invece “l’agrovoltaico”, con l’integrazione della presenza di coltivazioni e impianti di produzione di energia grazie al ricorso a tecnologie innovative, come il montaggio verticale di moduli dotati di inseguitori solari.
Vengono fissati anche alcuni paletti di tutela ambientale. Per i bacini idrici, i pannelli dovranno concentrarsi al centro del bacino per non ostacolare la nidificazione e lo svezzamento dei volatili. Nelle cave ritornate a uso agricolo, viene posto il il limite del 10% di utilizzo se l’area risulta coltivata.
Infine, nei casi in cui per la cava sia programmato un recupero ambientale, con interventi di rinaturazione, piantumazione e ripristino della vegetazione, non è previsto alcun tipo di sfruttamento energetico.
A distanza di cinque anni dal devastante terremoto di magnitudo 6,0 che ha sconvolto il Centro Italia nella notte tra il 23 e il 24 agosto 2016, “c’è ancora molto da fare”. Con questi termini Giovanni Legnini, Commissario Straordinario per la ricostruzione del sisma, ha definito i risultati del terzo rapporto sulla ricostruzione di Amatrice, Arquata del Tronto e Accumoli, le località più colpite.
Ieri, durante una conferenza stampa, il Commissario ha ricordato i dati del disastro e ha fatto il punto sui lavori svolti e su quelli ancora da intraprendere. “Il numero delle domande di ricostruzione – ha detto – è arrivato a 20.700 circa, con un incremento del 60% nell’ultimo anno.” Poi ha proseguito: “Ad oggi abbiamo più di 5.500 cantieri aperti in tutto il cratere: 5mila gli interventi già conclusi con 12mila unità abitative restituite ai cittadini, 13mila in corso di ricostruzione e 52mila oggetto di quelle 20.700 domande a cui mi riferivo all’inizio.”
L’edilizia pubblica procede molto più a rilento rispetto alle iniziative individuali. Tuttavia, ha aggiunto Legnini, in ambito pubblico “le 25 ordinanze emanate in deroga nelle ultime settimane consentiranno un’accelerazione. Queste norme permettono infatti ai Comuni maggiormente colpiti dal terremoto di usufruire di procedure semplificate e più veloci e di ricevere supporto a livello tecnico e amministrativo, in modo da far decollare la ricostruzione dei centri storici distrutti.”
Intanto nella zona rossa di Amatrice è arrivata la prima gru, segno tangibile di una speranza che non ha mai abbandonato gli abitanti, molti dei quali rimasti nel territorio anche dopo la catastrofe. Legnini ha spiegato: “I centri storici saranno ricostruiti dove erano, ma non esattamente come erano. È necessario garantire ai cittadini edifici moderni e sicuri, anche in termini di sicurezza ed efficienza energetica. Ferma restando la necessità di rispettare l’ambiente, il paesaggio, nonché le caratteristiche storiche e architettoniche degli edifici.”
“In alcune situazioni specifiche non si potrà costruire” ha aggiunto il Commissario, evidenziando anche la collaborazione con altri centri di ricerca con i quali “stiamo conducendo alcuni studi, per analizzare il rischio frane e dissesto idrogeologico nei territori. Questi studi ci diranno se la ricostruzione è possibile e a quali condizioni.”
Le cerimonie di commemorazione delle 299 vittime e dei 388 feriti sono proseguite oggi con la messa solenne officiata da Mons. Domenico Pompili, vescovo di Rieti. Il prelato ha voluto lanciare un messaggio: “Ora che la ricostruzione è partita, però, ci si accorge che non basta ri-costruire. Occorre, ancor prima, ‘costruire’ un nuovo rapporto tra l’uomo e l’ambiente. Non limitarsi, cioè, a riprodurre le forme del passato, ma lasciarsi provocare dalla natura, che è creativa e aperta al futuro.”
112,2 milioni di euro per gli anni dal 2021 al 2026 del Fondo Investimenti presso il Ministero delle infrastrutture e delle mobilità sostenibili andranno a favore di interventi prioritari sui porti, già individuati ma non ancora finanziati. Distribuzione delle risorse che si affianca a quelle per i porti previste nel Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza, di cui sono già stati assegnati 2,8 miliardi di euro del Fondo complementare.
Il decreto firmato dal Ministro Enrico Giovannini assegna 59,9 milioni di euro all’Autorità di Sistema portuale del Mare Adriatico Meridionale per interventi nel porto di Barletta (19,9 milioni) e sulla strada di collegamento tra l’Autostrada A14 e il porto di Bari, 32,2 milioni all’Autorità di Sistema portuale del Mare Adriatico Orientale per interventi al porto di Trieste, e 20,1 milioni all’Autorità di Sistema portuale del Mare Tirreno Centrale per interventi di riqualificazione dell’area monumentale del porto di Napoli.
La manovra mira a favorire il rafforzamento infrastrutturale dei porti, per aumentarne la capacità e la resilienza ai cambiamenti climatici.
Una Commissione di alto profilo tecnico per verificare la sicurezza di ponti e viadotti in cemento armato su strade e autostrade italiane, molti dei quali risalenti a oltre 50 anni fa. È quella nata ieri, 26 luglio, su iniziativa di Enrico Giovannini, ministro delle Infrastrutture e della Mobilità Sostenibili (Mims). L’obiettivo è garantire la massima sicurezza sulle reti stradali puntando sulla manutenzione di strutture costruite prima delle attuali norme in materia di progettazione.
La Commissione sarà presieduta dall’ingegnere Massimo Sessa, presidente del Consiglio Superiore dei lavori pubblici. Egli verrà affiancato da una serie di profili di alto rilievo nel settore delle costruzioni, tra cui professori di tecnica delle costruzioni, di scienza e tecnologia dei materiali, di mineralogia.
In Italia, ha spiegato il ministro, “un numero significativo di ponti, viadotti e altre opere stradali è datato indietro nel tempo”, anche più di 50 anni fa. Per questo, ha sottolineato, “è necessario procedere ad un aggiornamento dei criteri e delle modalità per eseguire i controlli e la manutenzione. Migliorare la sicurezza delle opere stradali, anche in considerazione delle nuove tecniche di costruzione e di monitoraggio, è una priorità del Mims, anche a fronte degli eventi atmosferici di grande portata che si stanno verificando sul pianeta e che sono il chiaro segnale di cambiamenti climatici in atto.”
Il varo del nuovo organismo – si legge nel decreto istitutivo – parte da una considerazione di fondo, e cioè che “l’effettiva durabilità nel tempo di un’opera strutturale è funzione della qualità dei materiali utilizzati, dell’uso dell’opera nel tempo, nonché delle attività manutentive effettivamente svolte”. Pertanto la Commissione dovrà elaborare i criteri per predisporre un piano straordinario volto a migliorare la resilienza delle infrastrutture viarie. Tale piano dovrà individuare moderne tecniche per il consolidamento delle opere d’arte esistenti o per la ricostruzione di infrastrutture con modalità tecniche che prendano in considerazione i possibili eventi ambientali, idrogeologici, sismici e climatici.
Sempre più aziende scelgono la strada green, incentrata, in particolare, sulla produzione di idrogeno verde: l’ultima di queste è Saipem, che a questo proposito ha lanciato Suiso. Il marchio è stato depositato presso l’Ufficio dell’Unione Europea per la Proprietà Intellettuale (Euipo).
Si tratta di una soluzione tecnologica che integra nello stesso sistema fonti diverse di energia rinnovabile, come l’eolico galleggiante, il solare flottante e l’energia marina, per alimentare, insieme o singolarmente, elettrolizzatori per la produzione di idrogeno verde installati su piattaforme offshore già esistenti.
In questo modo, oltre a soddisfare alla crescente domanda di produzione di idrogeno verde, vengono riconvertite infrastrutture marine del settore altrimenti non più utilizzabili. L’ossigeno prodotto può essere utilizzato in diversi ambiti, come l’acquacoltura o la produzione di alghe.